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italian-studies: Scholarly discussions in any field of Italian studies Scusate,
ma secondo me nessuno si può permettere di esprimere l'opinione di una nazione intera.
Le confermo che in Russia di Berlusconi non si pensa bene: è l'esempio del comportamento inacettabile e perverso. (essendo cittadina russa) Non ho mai sentito parlare bene di Berlusconi, solo in modo negativo.

katia golovko.

Il giorno 21 gennaio 2011 17:46, Sciltian Gastaldi <[log in to unmask]> ha scritto:
italian-studies: Scholarly discussions in any field of Italian studies

Scusate, ma secondo me la questione è posta fuori fuoco.

Non dovremmo tanto chiederci il perché di un'atavica indolenza, forse negli ultimi anni diventata un vero amorfismo dell'italiano medio. E' più interessante cercare di capire come mai per una porzione davvero molto consistente di elettori italiani, e dunque di cittadini italiani, Berlusconi rappresenti invece un modello positivo, da ammirare, difendere e invidiare. Sentivo ieri alla radio che in Russia, il cittadino medio stima molto Berlusconi perché in lui riconosce le caratteristiche del Cesare, dello Zar, del Capo. Mentre a Londra, Parigi o Toronto di Berlusconi si pensa in genere il peggio possibile, nelle società meno evolute dal punto di vista liberale e democratico, lo si ammira e idealizza.

Ecco, io credo che la questione stia tutta qui. L'Italia non è solo geograficamente una nazione che fa da cerniera fra l'Europa occidentale e quella orientale, fra l'Europa e il Medio oriente. Lo è anche da un punto di vista geo-politico e sociale. Roma, Napoli, Milano, Verona sono - con buona pace del nostro sentimento d'orgoglio nazionale, ammesso ce ne sia uno - meno lontane da Teheran o da Mosca che da Londra o New York. E' un'affermazione che si può sostenere sotto diversi profili: l'atteggiamento verso l'educazione civica, verso la religione, verso lo Stato, la propria famiglia, la globalizzazione, il diverso (ebreo, gay o persona di pelle dal diverso colore) e il prossimo.

L'italiano medio, quello che a votare spesso ci va, ma che magari legge un libro l'anno e non compra giornali, in parte non sa nulla dei comportamenti criminosi o amorali di Berlusconi. Ma quando ne è al corrente, li giudica usualmente grandiosi, encomiabili, li guarda con l'occhio dell'invidia e della stima verso "l'uomo che s'è fatto da sé", come impone la vulgata di casa Mediaset, Chi? e Tv Sorrisi e Canzoni.

Infine, ma solo infine: il potere di trent'anni di condizionamento da parte della tv commerciale e del resto dell'impero berlusconiano. Un'arma di distrazione di massa portentosa, che fino a oggi si è sempre mostrata in grado di spostare, a ogni campagna elettorale, il voto di un 6-8% del corpo elettorale dall'area del centro o della sinistra o dell'astensione a quella del voto per il partito di Berlusconi. A prescindere da ciò che i suoi governi abbiano fatto o misfatto.

Su quest'ultimo punto posso dirvi che pure il mio caro amico e relatore Pietro Scoppola, prima di morire, aveva cambiato opinione. Nei suoi corsi di storia contemporanea, lungo gli anni Novanta, negava con fermezza che le tv di Berlusconi giocassero un ruolo, e portava in esempio le vittorie dell'Ulivo avvenute in quegli anni. Poi però, a forza di osservare l'andamento delle elezioni politiche che si sono tenute dal 1993 agli anni Zero, ammise che una componente non piccola la giocavano eccome, soprattutto quando la legge sulla par condicio è stata interpretata dai nuovi direttori berlusconiani della Rai al pari di un bavaglio verso le trasmissioni di approfondimento politico.

Come dice Beppe Severgnini, che sul tema ha scritto un libro acuto, prima o poi Berlusconi verrà lasciato solo dai suoi sodali e a quel punto occorrerà difenderlo da chi esigerà di impiccarlo per i piedi, "per farlo vedere a tutta la piazza". Chissà, può darsi, in effetti è spesso finita così, ma non per tutti coloro che hanno saputo trasformare il proprio cognome in un -ismo.

Cordialmente,
Sciltian Gastaldi



On 21/gen/11, at 10:58, Enrico Santangelo wrote:

italian-studies: Scholarly discussions in any field of Italian studies

Risponderei a "La bella scola" (nome collettivo? Chi è lo/la scrivente?), dando questo mio parere.
Sono italiano, mi sono formato a Torino e a Londra e ora vivo permanentemente nel 'bel paese' (?) dal 2005. Ho assistito agli splendori e ora al (-l'auspicabile) declino di Mr. B. in Italia (all'estero fama e credibilità le ha già perse da un pezzo).
Recentemente anch'io riflettevo sulla mancanza di una qualsivoglia italica reattività... La risposta - parziale - che credo di poter dare è non tanto di ordine filosofico-religioso, quanto storico-politico-sociale.
Come osserva Jossa ne 'L'Italia letteraria' (Il Mulino, 2006), ciò che accomuna gli italiani non è certo un sentimento civico, civile o patriottico, quanto un comune sentire artistico-letterario (ma anche altri fattori, come sottolineato da Prezzolini citato in Jossa).
Ora, stando così le cose, come si può pretendere una reazione unitaria, un'indignazione collettiva e generalizzata di fronte al degrado della politica nazionale (e locale)? Agli italiani, divisi, litigiosi, iper-individualisti e per cultura diffidenti verso il vicino italiano o straniero percepito come un alieno, interessa poco o nulla quello che succede nei palazzi e nelle ville del potere. Al più interessano i risvolti piccanti e osceni, i particolari pruriginosi incorniciati da un bel paio di coscette (per non dire di più...). E spesso questo interesse porta a un tacito o palese assenso ed a una certa indulgenza morale (italica fallocrazia?) che perniciosamente si trasforma poi in consenso elettorale!!!
Dunque concludo, con Gaber, che 'abbiamo fatto l'Europa, ora facciamo l'Italia!'. Ascoltate 'Io non mi sento italiano (ma per fortuna lo sono)' di Giorgio Gaber.
Grazie e auguri a tutti/e,
Enrico Santangelo

Inviato da iPhone

Il giorno 21/gen/2011, alle ore 14:45, La bella scola <[log in to unmask]> ha scritto:

italian-studies: Scholarly discussions in any field of Italian studies

Quali sono, secondo voi, le origini storiche e culturali della passività di cui gli italiani stanno dando prova in questi ultimi anni? Mi pare una domanda adeguata chi studia la storia della cultura del mio paese da un punto di vista esterno, appartenente ad altre culture.

Tutti i giorni abbiamo sotto gli occhi un campionario completo di tutti i comportamenti socialmente inaccettabili, e manca completamente una reazione collettiva.

Ho una mia spiegazione, che parte dal lavoro di René Girard sulla tradizione ebraico cristiana. Come è noto, Girard individua in essa una "teoria generale del religioso".

La mia spiegazione è che il pervertimento di tale teoria generale, avvenuto in reazione all' introduzione della stampa a caratteri mobili, è alla radice di un uso di quest'ultima con effetti particolarmente devastanti che ha creato in poco più di tre generazioni, attraverso una gigantesca produzione di manualistica specifica, una mentalità che toglie al messaggio evangelico la carica rinnovatrice che è all'origine della fioritura rinascimentale, fino a Michelangelo.

Ho qui uno di questi manualetti, commentato. Il titolo è "Il popolo fanciullo. Silvio Antoniano e il sistema disciplinare della controriforma", di Vittorio Frajese. Il contenuto è terrificante. Viene prescritta la violenza gratuita del padre sui neonati, che doveva fondare una nozione di autorità indiscutibile e terrorizzante. Da queste prescrizioni sembra avere origine il ramo tedesco della "schwartze Paedagogie".

Questo mi pare confermare le teorie di Girard e indirizzare la riflessione verso un loro uso in storiografia.

Spero di aver precisato quello che intendevo. Grazie a quelli che vorranno intervenire.
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