Caro Armando,
scusa l'uso del nome proprio ma avendo studiato in California per me si
tratta ormai di un'abitudine acquisita. Avendo un passato intellettuale
alquanto eccentrico per un'italianista (laurea in lingue alla Cattolica con
tesi su Emily Dickinson, poi MA in American Studies con tesi su romanzi
scritti da donne durante la guerra civile americana, infine dottorato in
italiano e comparata a Stanford con tesi su 2 messa in scena dell'_Aminta_
del Tasso), devo dire che il Nobel a Fo mi ha fatto non solo piacere, ma mi
ha francamente rincuorata. Insegnando a Miami, ma in generale negli Stati
Uniti, si acquisisce un punto di vista molto piu` libero, molto piu`
anarchico nei confronti del canone, e di conseguenza anche nei confronti di
onoreficenze come in Nobel. Certo nel mio caso contribuisce alla mia
soddisfazione in fatto (molto meno cosmopolita, anzi decisamente
campanilista) che Fo sia milanese, anzi nato in provincia di Varese. Ma
(sempre per citare DeMita) non e` questo il punto.
Nonostante il tuo intervento mi sia sembrato un tantino "arrabbiato" forse
proprio di questo c'e` bisogno, nell'ambito accademico dell'italianistica:
dobbiamo svegliarci, ci sono un sacco di opere, lavori, messe in scena, da
studiare, analizzare, godere...
Buon lavoro a tutti, quindi!
Maria Galli Stampino
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