LETTERA APERTA AI PROFESSORI UNIVERSITARI ITALIANI
(E A QUELLI STRANIERI INTERESSATI)
L’Università italiana sembra essere una istituzione decaduta,
deprimente e ormai lontana dagli standard della decenza occidentale. Per
averlo sostenuto pubblicamente sono stato messo sotto processo: uno
disciplinare da parte del Rettore de "La Sapienza" ed uno civile, invocato
dal Preside della Facoltà di Lettere della stessa Università, nella quale
insegno come professore associato di Letterature comparate, per averlo
mostrato da "re nudo". Non me ne lamento affatto. Le mie provocazioni
miravano proprio a questo: a portare in giudizio, dal di dentro ma
pubblicamente e impietosamente, il nostro sistema universitario, attaccando
persone e casi precisi. E’ facile per Giorgio Bocca, per Arbasino o per
Curzio Maltese scrivere che l’Università italiana, e in particolare "La
Sapienza", fa schifo: fa parte del loro mestiere, il giorno dopo dicono le
stesse cose di Berlusconi, di D’Alema, dei sassi lanciati dai cavalcavia,
ecc. Ed è facile per l’ex-professore Lucio Colletti affermare che ad
insegnare nelle nostre Università ci sono molti ciucci, ma che preferisce
non fare nomi ...per tema di essere sfidato a duello.
Qui si tratta, invece, di ribellarsi sul serio contro i facitori precisi e
concreti della degradazione dei nostri studi superiori. Si tratta di una
ribellione civile che mostri a tutti la vera faccia del degrado e del
disonore e andando fino in fondo.
Che significa? Mi sono fatto la convinzione che i professori
universitari italiani agiscono come se avessero solo dio - se pure - sopra
di sé e, quindi, si comportano come degli impunibili. In pochi casi, però,
tale presunzione li porta a trafficare con il denaro; la loro forma di
corruzione specifica è originariamente morale e riguarda la mercificazione e
la mortificazione della dignità del sapere operate sui destini delle
persone. Un orrore invisibile ma infernale. (Per chiarire questi concetti io
uso sempre citare il finale de Le città invisibili di Calvino: rileggetevelo).
Sono convinto, inoltre, che la strategia d’attacco vincente contro
questa melmosa rete di obbrobri, coperta dal mantello del falso decoro e
della tipica ipocrisia accademica, sia il ricorso ai tribunali. Se dio non
fa ombra a un professore ordinario, credo che il solo sentir parlare di
magistrati possa procurargli una severa colica.
Messa in chiaro questa lunga ma necessaria premessa, diciamo così:
ideologica, veniamo al dunque, a ciò che ci preme in questi giorni. Il
dominio accademico italiano ha appena iniziato ad affrontare uno dei compiti
più diabolici della sua normale attività produttiva: un maxiconcorso a
professore associato.
Sono già in circolazione le liste dei nomi dei vincitori: nomi, sia chiaro
per i profani, già noti non perché universalmente riconosciuti come quelli
dei concorrenti più bravi, ma perché subito assegnati "in quota" ai docenti
che sono risultati eletti in commissione: è chiaro? Tutti sembrano
soddisfatti, indifferenti o rassegnati al fato, qualcuno, al massimo,
mugugna un po' nei corridoi; comunque tutti accettano l’infamia ancora una
volta, come la inevitabile normalità.
Invito i colleghi che sono in commissione e che non intendono adeguarsi al
gioco infernale di sovvertirlo. Come? Difendendo in tutti i modi i diritti
dei concorrenti veramente meritevoli a vincere. Provateci: why not?
E invito tutti i colleghi - italiani e stranieri - che non fanno
parte delle commissioni giudicatrici a vigilare con accurata determinazione
sui lavori di quelle che riguardano la propria disciplina.
I giovani e i cittadini ci guardano (e i tribunali ci attendono).
Per quanto mi concerne io sono pronto.
Armando Gnisci
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