italian-studies: Scholarly discussions in any field of Italian studies
Dear Andrea,
Thank you for reply.
It would probably be a good thing not to pursue the discussion further on
the I-S list, so that we abide by the general "no politics" ethos of things.
However you point to the shortcomings of the inserted "Note", and request a
more detailed account of the circumstances, so that list members can judge
for themselves.
For that purpose I append here an account drawn from the Internet, which
gives a much broader view of the story (with which one may or may not
agree).
I shall write no further on this subject in this forum.
With best regards,
Ed
____________________
«Il progetto delirante»: storie e retoriche del febbraio di via Zamboni
I fatti sono noti (e, se non lo fossero, sono stati riassunti qui e qui, per
esempio), ma forse solo parzialmente: la narrazione più diffusa tende a
limitarsi alle «violenze» del 9 febbraio - e invece, come sempre, c'è un
prima e un dopo. In breve: dopo l'annuncio di installare dei sistemi per il
controllo delle persone in entrata (i «tornelli») nella BDU-Biblioteca
Discipline Umanistiche dell'Università di Bologna (risalente all'estate 2016
e da attuarsi nei primi mesi del 2017), attiviste/i e studenti accedono
comunque alla biblioteca da porte laterali (dal 23.01); raccolgono più di
600 firme su carta (543, secondo il Resto del Carlino) in 48 ore, in
opposizione alla decisione (02.02); consegnano le firme alla
Prorettore-agli-studenti Elena Trombini (che dice: «prendiamo atto delle
vostre richieste»); di fronte al silenzio da parte dell'Università e alla
militarizzazione dell'area di via Zamboni e piazza Verdi (i primi scontri
tra studenti e Polizia sono del 03.02), studenti e attiviste/i indicono
un'assemblea
pubblica (06.02, ripetuta l'08.02), cui segue un incontro con la Prorettore
Trombini e il Presidente del sistema bibliotecario di Ateneo Guglielmo
Pescatore (07.02) che si conclude in un nulla di fatto. Attiviste/i e
studenti smontano quindi le porte a vetri e le consegnano simbolicamente in
Rettorato (08.02) mentre il Rettore Ubertini decide la chiusura della BDU;
il giorno successivo (09.02), studenti e attiviste/i reagiscono alla
chiusura della biblioteca occupandola, quindi aprendola a chi vi vuole
studiare; alle 17.30, su richiesta d'aiuto da parte dell'Università, il
questore Ignazio Coccia invia la celere in tenuta antisommossa in
Biblioteca, dove gli occupanti studiano. Ne nascono scontri, dentro e fuori
dal «36». Nel citatissimo commento pubblicato su Contropiano dell'ex docente
dell'Alma Mater Alberto Tarozzi (uno dei pochissimi a pronunciarsi
sull'intervento
della Polizia in sede universitaria, in un generale silenzio acquiescente),
si legge «in quei 40 anni la polizia mai è intervenuta all'interno dei
locali dell'Università militarmente, nemmeno mentre qualcuno occupava,
nemmeno quando nei dintorni c'erano episodi di lotta armata». Nei giorni
successivi, seguono un'assemblea spontanea (10.02), tre Assemblee
studentesche generali (14.02, 17.02, 22.02) nella sede di Filosofia («il
38»), due cortei in città (14.02 e 16.02), un flashmob davanti al «36»
(20.02) e due sit-in in Rettorato («al 33») con allestimento di un'aula
studio provvisoria (16.02, 21.02). A parteciparvi, centinaia di studenti e
cittadine/i, nonché membri di vari collettivi (su tutti, Lubo-Libera
Università di Bologna, gemmazione del Tpo-Làbas, e il Cua-Collettivo
universitario autonomo). La giornata del 09.02 costa ad attiviste/i e
studenti venti denunce; dal 10.02 due attivisti sono agli arresti
domiciliari. «Il tappo è saltato», chiosa subito Alessandro Canella sul sito
di Radiocittà Fujiko.
Questi i fatti. Tuttavia, scrive Lubo il 14.02, «la questione [.] viene
troppo spesso narrata come una piccola vertenza schiacciata
sull'installazione dei tornelli in università, ma in realtà nasconde dentro
di sé delle fratture ben più significative».
Questo il contesto: il progetto dell'apertura prolungata di alcune
biblioteche dell'Ateneo e di «riqualificazione della cittadella
universitaria» è stato lanciato dal Rettore Ubertini (ingegnere eletto
contro ogni pronostico nell'estate 2015) nella scorsa estate, a inizio delle
attività di Zambè (rassegna estiva finanziata anche dalla Fondazione del
Monte, in un'ottica di «valorizzazione» di via Zamboni), e già sul Corriere
di Bologna si accennava a «tornelli, controllo degli accessi, guardiania
centralizzata e [.] un sistema di segnalazione in tempo reale dei posti
disponibili, per il quale si sta studiando anche una app per smartphone»,
mentre Ubertini parlava di «misura strutturale». Il piano coinvolge anche
Biblioteca Giuridica Antonio Cicu e la sala studio di Palazzo Paleotti
(entrambe in via Zamboni e ad accesso limitato) ed è finanziato con 250 mila
euro all'anno dalla stessa Fondazione del Monte, presieduta da Giusella
Dolores Finocchiaro, avvocata, sindaca di Cassa depositi e prestiti, nonché
ordinaria di Diritto privato e già allieva dell'ex-Rettore Fabio Roversi
Monaco (ex Rettore 1985-2000, ex presidente di Imi, di Fondazione Carisbo e
del cda di Bologna Fiere). Secondo Lubo, la Prorettore Trombini,
nell'incontro
con le/gli studenti del 7 febbraio, giustifica la limitazione degli ingressi
dapprima con il problema dell'«insicurezza di lavoratori e studentesse» e
poi con il rinnovamento del sistema di prestito dei libri. Più in generale,
pare, la «riqualificazione della cittadella» di via Zamboni fa da
contrappeso, nella logica strategica del Rettorato, alla scelta di
«rinunciare» a un'altra cittadella: quella del cosiddetto progetto Staveco,
da realizzarsi nell'ex area militare di proprietà demaniale (ex-Staveco),
ceduta nel 2013 dal Comune di Bologna all'Università dell'allora Rettore
Dionigi per essere riconvertita in un campus all'americana, a fronte della
vendita di nove palazzi storici di proprietà dell'Ateneo, alcuni dei quali
in via Zamboni (Patrizia Gabellini, assessora all'Urbanistica, commentava:
«l'alleggerimento della presenza dell'Università in via Zamboni, che si
tenta dagli anni '70, può avere una chance seria» anche nell'ottica di
risolvere «l'annosa situazione "piazza Verdi"». Contro il progetto - per i
costi e la retorica da grande opera, le implicazioni sul patrimonio
storico-artistico e immobiliare dell'Ateneo e il modello di università
gated, con conseguente marginalizzazione del dissenso, che comportava - si
erano espresse/i, a suo tempo, collettivi e studenti.
C'è un prima e un dopo, e c'è un «intorno» che riguarda l'amministrazione
della città tutta, oggi. A Bologna, il piano di progressiva centrifugazione
del dissenso e del disagio oltre le mura (che muoveva il «progetto Staveco»)
si riflette nella gentrificazione della Bolognina (quartiere popolare e
migrante a ridosso della nuova stazione AV); nella lunghissima serie di
sgomberi degli spazi pubblici autogestiti (Atlantide nel 2015, e quelli
annunciati di XM24 e Làbas, l'ultimo per realizzare «un albergo, una
trentina di alloggi, attività sociali e ristorative») e delle occupazioni
abitative (via Solferino, via Fioravanti, via de Maria, via Mura di Porta
Galliera) tra l'autunno 2015 e quello successivo; nella gestione
antidemocratica della costruzione del Passante di Mezzo; nel contestato
progetto della Fabbrica Italiana Contadina di Oscar Farinetti/Eataly. Ma di
tutto questo, ha già scritto Anna Giulia Della Puppa.
Parlare dell'«intorno» implicherebbe poi accennare all'interazione tra
amministrazione cittadina e Università (due giganti che gestiscono 800
milioni l'uno l'anno) e sulla sua evoluzione nell'era post-Dionigi, tra
amministrazione e Questura, e tra Università e Questura, a questo punto. Le
tre si trovano pericolosamente a condividere una certa pretestuosità
nell'agire,
spesso in modo approssimativo o improvvisato, la scelta di una risposta
securitaria, la repressione del dissenso come problema di ordine pubblico e
la sproporzione della reazione («la misura politica sbagliata», dice il
consigliere del quartiere Santo Stefano Detjon Begaj). E, a meno che si
accetti di pensare alla repressione e alla gentrificazione della «città
della pace sociale» come un progetto politico condiviso dall'Amministrazione
tutta e all'Università come luogo funzionale solo alla produzione e
riproduzione di capitale, c'è da aggiungere che amministrazione cittadina e
universitaria condividono anche un'incapacità di pronoia, di intelligenza
politica e di visione d'insieme.
A mancare di una visione d'insieme è stata tuttavia anche una gran parte -
all'inizio rumorosissima - del corpo studente. Nate/i dalla crisi delle
grandi narrazioni sistematizzanti e produttrici di senso, in pieno riflusso
del riflusso, formate/i in un'università post-Gelmini, molte/i studenti del
febbraio bolognese sono parse/i difettare di strumenti per significare la
realtà e riprodurre una retorica dal vocabolario benpensante («il degrado»,
«il merito»), rivendicandosi quello che Mark Fisher chiamava il
«volontarismo magico» (che impianta nei/lle precari/e a venire il senso di
colpa) e una propensione per quella sinistra liberal che si concentra sui
diritti civili e scorda quelli sociali. In questi giorni, soprattutto sui
gruppi facebook delle facoltà umanistiche, si sono letti tantissimi commenti
su questo tono; su change.org - piattaforma dove un singolo può firmare più
volte - una petizione lanciata da un gruppo di studenti chiama alla
dissociazione dall'operato dei collettivi, raccogliendo 8000 firme virtuali.
Se Piero Gobetti, nel celebre Elogio della ghigliottina, scriveva che «il
fascismo in Italia è un'indicazione di infanzia perché segna il trionfo
della facilità, della fiducia, dell'entusiasmo», si legge paradossalmente
nei commenti di molte/i studenti quella stessa tensione ottimistica che
stava dietro alla «nazione che crede alla collaborazione delle classi, che
rinuncia per pigrizia alla lotta politica».
Tuttavia, il rischio di cadere nella falsa coscienza dell'indignazione
online è altissimo: per quanto i commenti perbenisti siano sembrati, in
questa occasione e soprattutto online, più numerosi e gridati del solito,
gli studenti conformisti hanno una tradizione che retrodata a ben prima di
questo febbraio. In ogni caso, analizzare le radici diffuse della narrazione
della quale quelle/gli studenti si sono fatte/i portatori, mi sembra di
qualche urgenza.
La prima mossa retorica messa in atto da questa narrazione generalista è la
separazione tra studenti «vere/i» e collettivi, che mira a delegittimare i
secondi, imbellettando i primi: e, globalmente, come in ogni tentativo di
divide et impera, tende a depotenziare tutti. Lanciata in qualche modo da
una parte del corpo studentesco, questa retorica «dei cattivi contro i
buoni» viene subito adottata sia dalle testate locali (Repubblica Bologna e
Il Resto del Carlino) sia dalle/i rappresentanti del Comune e
dell'Università,
attecchisce sulle impalcature del dibattito e ne appesta l'aria. Il sindaco
Merola, in un commento pubblicato sull'edizione locale di Repubblica, dice:
«non mi sembra che le azioni di protesta [del] Cua siano state apprezzate
dagli studenti. Appare piuttosto evidente il contrario» e «esprimo tutta la
mia solidarietà alle migliaia e migliaia di studenti che ogni giorno
studiano, frequentano le lezioni, sostengono esami, e che nulla hanno a che
fare con azioni velleitarie e violente che invocano quasi la repressione per
dare un senso alla loro esistenza»; il Prorettore vicario Mirko degli
Esposti aggiunge, in riferimento alle/i manifestanti, «non sono studenti e
non lo sono mai stati». La vicenda, che inaspettatamente ha un'eco molto
ampia, si rifrange in questi termini sui media nazionali. Gli studenti
sedicenti «veri» indicono un'assemblea a sé stante, che però non viene
svolta, a seguito della grandissima partecipazione alla prima parte
dell'Assemblea
studentesca generale organizzata da collettivi e studenti. La narrazione
tossica - che molte/i studenti sembrano alimentare inconsapevolmente -
racchiude una dicotomia («o studio o occupo») e un'implicazione logica
fallace («se sono davvero studente non ho tempo di occupare»):
l'identificazione
della/o studente con l'esecutrice/ore del triathlon corso-studio-esame,
propagandata da anni di riforme della scuola al ribasso, metastatizza così
nel corpo delle/gli studenti, che - privati di ogni luogo del pensiero
critico - ne diventano i primi riproduttori. Questa narrazione, oltre a
essere nociva, è fuorviante: le centinaia di studenti in assemblea e in
corteo non possono essere ridotte né ai (pochi) membri dei collettivi e,
d'altro
canto, la loro concezione dell'«essere studente» non si riduce a
«studia[re], frequenta[re] le lezioni, sosten[ere] esami».
Accanto alla retorica degli studenti più o meno legittimati a dirsi tali, se
ne produce un'altra, altrettanto pericolosa. Quella del «sì nel merito, no
nel metodo». Per quanto potenzialmente valida, questa retorica è spesso
accompagnata da indignazione a buon mercato o, altrimenti, si ammanta di un
pacifismo semplificatorio, che rivendica l'eredità della nonviolenza
distorcendola in una forma di accidia dell'esistenza. Se Aldo Capitini,
padre italiano del movimento nonviolento, giustifica «l'assalto al
funzionamento di un servizio [.] con danno o distruzione, e quindi oltre il
limite della legalità quando non vi è alcun rischio per l'esistenza degli
esseri viventi», una parte delle/gli studenti bolognesi sembra non solo
condannare in toto l'atto di sabotaggio (posizione comunque ammissibile), ma
addirittura sentire un'urgenza di distanziarsi dai collettivi (i «violenti»
della narrazione delle testate giornalistiche locali) e di dirsi diversi,
tanto intensa da annebbiare l'imprescindibilità della condanna della
presenza della Polizia in una biblioteca, in un confuso «condannare ogni
forma di violenza» che non distingue più la difesa dall'offesa, non assume
che la violenza possa avere significato politico diverso a seconda
dell'autore
e non è in grado di leggere gli eventi in base al loro ordine di grandezza.
In questo clima, la giunta Merola, eletta a seguito di una campagna
elettorale costruita sulla paura dell'eventualità di una guida leghista, il
20.02 ha approvato un odg («anticostituzionale», secondo Coalizione civica)
di Lucia Borgonzoni (Lega Nord), che «premesso che ogni libera
manifestazione pacifica è un valore per la discussione democratica [.]
condanna[va] le azioni violente perpetrate da degli esponenti del Cua e
prende[va] le distanze da tutti i rappresentanti delle forze politiche
cittadine che manifestano al fianco del collettivo stesso legittimandone, di
fatto, i metodi».
Questo atteggiamento di parte del corpo studente ha permesso la diffusione
di una retorica depoliticizzante: secondo il Rettore, i «tornelli» sono uno
strumento tecnico e non politico («si tratta di una biblioteca, non è il
problema di uno spazio collettivo per il dibattito politico», ha detto
Ubertini). L'assenza di allenamento, nelle/gli studenti, a vedere il
politico nel quotidiano si riflette nell'accettazione della logica
securitaria e esclusiva dell'Amministrazione cittadina come soluzione
all'abbandono
nel quale giace piazza Verdi. Quella stessa assenza di allenamento si
riflette in una confusione (un'equazione, meglio) tra ciò che è legittimo è
ciò che è legale, mentre quella coscienza storica fragilissima, che
impedisce di rivedere nella presenza della Polizia in via Zamboni l'ombra di
altri momenti storici, permette, di rimando, al sindaco Merola di
rivendicare quasi l'eredità dell'«ala creativa e libertaria» del movimento
del '77 e scrivere: «non vedo oggi, come accadde invece 40 anni fa, un
movimento che, seppur tra errori e scelte estreme, cercava di affermare una
alternativa all'esistente». (A margine, il corteo delle/gli studenti del
10.02 è passato da via Mascarella, dove venne ucciso Francesco Lorusso, l'11
marzo 1977.)
Su tutti, l'inserimento della vicenda in una prospettiva storica viene
proposto da Leonardo Tancredi, di Piazza Grande, che su Napoli monitor
ricorda come «il rapporto del movimento studentesco con quello spazio di
studio [.] nasce [quando] i collettivi che escono vivi dalle mobilitazioni
della Pantera del '90 a Bologna pongono il loro quartier generale proprio al
36, facendone una sala studio autogestita» - una tradizione poi persa
«soprattutto a causa di una dura controffensiva verso le esperienze di
autogestione che il comune di Bologna muove nell'estate del 1996, quando,
oltre al 36, cadono le occupazioni storiche di via del Pratello».
Moltissime/i studenti sembrano non sapere (prima che non volere) rievocare
quella storia, né le vicende dei decenni precedenti, e nemmeno quella
recente dell'Onda del 2008 (che si materializzò a Bologna in Bartleby in via
Capo di Lucca, sgomberato a inizio 2013), o quella recentissima della green
guerrilla dell'albero in piazza Verdi (piantato a maggio 2013, in
solidarietà con Gezi park). La questione non è tanto la scelta (più che
legittima) di non appartenere al movimento (qui studentesco) e quindi di non
rivendicarne la tradizione o l'eredità, quanto il rifiuto di fare vedersi
politici in quanto studenti e riconoscersi (anche parzialmente) nella storia
di chi, nell'università, si era vista/o politica/o.
Questa stessa scarsa coscienza politica delle/gli studenti ha permesso ad
amministrazione comunale, Rettorato e Questura di ergersi a protettori di
altre due categorie, oltre a quella delle/gli studenti «vere/i»: le donne e
i lavoratori. Un episodio di molestia sessuale è stato sfruttato dalla
narrativa della necessità di «mettere in sicurezza» l'area di via Zamboni e
piazza Verdi, dove convivono pacificamente da anni episodi di
microcriminalità (furti e rivendita di biciclette e spaccio di droghe
leggere) e forze dell'ordine. La narrativa machista che si nasconde dietro
la volontà di «tutela di lavoratrici e studentesse» è stata individuata e
condannata dal blog Abbatto i muri («il corpo della donna [.] viene
strumentalizzato da una logica emergenzialistica e securitaria [.] come
giustificazione della repressione poliziesca, della caccia all'"immigrato" o
al "tossico"») e dalle stesse studenti in corteo che hanno rivendicato la
mobilitazione come «prima di tutto femminista e antisessista» specificando
che «la zona universitaria è un luogo sicuro se viene attraversata da corpi
che condividono e non da tornelli che dividono». Un documento sulla
questione di genere è stato presentato anche all'Assemblea del giorno
successivo.
Allo stesso modo, si è tentata la strada dell'opposizione tra
lavoratrici/ori e studenti, soprattutto dopo la pubblicazione di una lettera
aperta della Direttrice della BDU, Mirella Mazzucchi, che - legittimamente -
lamenta «noi siamo bibliotecarie e veniamo esposte a tutto questo, noi che
non c'entriamo nulla». La lettera è stata ripresa da tantissime/i studenti,
come sostegno alla condanna dell'atteggiamento dei collettivi e rilanciata,
con approvazione, dal sito neofascista Il primato nazionale. La distanza tra
studenti e lavoratrici/ori, comunque, sussiste e, nel documento della
seconda Assemblea (17.02), le/gli studenti riconoscono «la necessità di
rafforzare il contatto con i lavoratori per rompere la cappa di soffocamento
imposta dai vertici universitari», come quando, nella primavera 2014, i
lavoratori e le lavoratrici di Unibo-Coopservice avevano scioperato in via
Zamboni contro i contratti a 4 mesi e il salario a 2.80 euro netti all'ora,
ricevendo la solidarietà di studenti, docenti e collettivi. Quanto
all'opposizione
tra studenti e docenti (magari precari/e) come pratica del divide et impera
non è stato nemmeno necessario tentarla. Per ora, i docenti tacciono.
L'Assemblea
del 17.02 ha proposto di «scrivere un appello pubblico per far schierare il
mondo accademico sull'ingresso della celere in Università» definendo
assordante «il silenzio di professori, ricercatori e mondo della cultura».
Il gruppo delle/gli studenti che hanno riprodotto o fatto riprodurre, in
questi giorni, queste retoriche generaliste è insieme enorme (e variegato,
ovviamente, per quanto apparentemente compatto) e silenziosissimo: fino a
ora si era sentito poco. Tuttavia, se un numero ampio di studenti non si
riconosce nei collettivi, per quanto concordi potenzialmente o
saltuariamente con le loro istanze o azioni, quello che si pone è un
problema di rappresentanza. La questione, tuttavia, trascende sia la crisi
della rappresentanza come segno del tempo (peraltro, nelle ultime elezioni
studentesche, ha votato il 12% delle/gli aventi diritto) sia l'impossibilità
di identificazione con l'avanguardia del movimento studentesco: è un
problema politico e di vita apolitica, del quale sono in parte responsabili
l'autoreferenzialità dei collettivi, l'arroganza poco accorta con la quale
capita che agiscano e la distorsione mediatica che subiscono e provocano.
Tuttavia, secondo Radiocittà Fujiko, nel febbraio bolognese, «il tappo è
saltato», tracimando anche la storica incompatibilità tra collettivi e
le/gli altri studenti e la trista atarassia cui i media condannano i
Millenials. Dall'Assemblea studentesca generale del 17.02, esce un
comunicato che, con un'eco che non si sentiva da anni, si chiede: «come
smontiamo la retorica securitaria sul degrado della zona universitaria, come
iniziamo a parlare del processo di gentrificazione della zona universitaria
e della desertificazione sociale di piazza Verdi, come facciamo a
immaginarci un modello diverso di Università in netta contrapposizione a
quello aziendalistico, asettico e privatistico imposto negli ultimi anni,
come affrontiamo i problemi della nostra generazione senza futuro, precaria
e condannata a voucher, come facciamo a opporci alla speculazione politica
sul corpo delle donne».
Di queste cose si sta parlando a Bologna, dopo tantissimo tempo.
----- Original Message -----
From: "Andrea Hajek" <[log in to unmask]>
To: <[log in to unmask]>
Sent: Saturday, March 04, 2017 4:02 PM
Subject: Re: [I-S] Appeal from students at the University of Bologna -
'Police in the University - Never Again!'
italian-studies: Scholarly discussions in any field of Italian studies
Dear Ed,
I would like to observe that the "note" reporting the course of events
preceding the incidents on 9 February does not render the full picture of
the situation, nor does this appeal reflect the position of the (majority
of the) students at the university of Bologna, some of whom have criticized
the students involved in the incidents. Undoubtedly Italy's police forces
have a tendency towards military repression of dissent, and the violent
intervention of the celere inside the university library should definitely
be condemned, but when calling for list members to sign a similar appeal
you should make sure they are informed correctly.
Best wishes,
Andrea Hajek
2017-03-04 10:42 GMT+01:00 Ed Emery <[log in to unmask]>:
> italian-studies: Scholarly discussions in any field of Italian studies
>
> APPEAL FROM STUDENTS AT THE UNIVERSITY OF BOLOGNA
>
> POLICE IN THE UNIVERSITY - NEVER AGAIN!
>
> The university, and all spaces for the circulation and production of
> knowledge, must not be permitted to become places for the military
> repression of dissent.
>
> We call on everyone to sign this appeal, and to join us in condemning what
> happened shortly after 5.00pm on 9 February 2017 in the Library of
> Humanistic Science at via Zamboni 36 in Bologna.
>
> In the following days there was a media campaign directed against the
> reaction of the students [to the imposition of security gates], rather
> than
> protesting the paramilitary action conducted by the police in a university
> library at the request of the university's Rector Ubertini.
>
> WE CALL ON
>
> All students, of every faculty and department
> All teachers, of every faculty and department
> All writers, actors, and musicians
> All people working in the worlds of education and culture
> All the men and women of our country
>
> To make their voices heard, to express themselves, to get involved, to get
> angry, to meet together, in order that what happened in Bologna on 9
> February can never be allowed to happen again. The repressive model of
> action must not become normalised as a way for the authorities of Italian
> universities to deal with growing conflicts within their university
> spaces.
>
> Beyond the questions of turnstiles and of what they represent, and beyond
> individual opinions on the choices made by individual universities, we
> believe that there must be no division or hesitation on this question. We
> believe that a firm condemnation of this unacceptable action is the only
> sure guarantee for all of us.
>
> Signed:
>
> Students of the University of Bologna
> [Studenti e studentesse dell'Università di Bologna]
>
> [NOTE: In the New Year the authorities of the University of Bologna
> installed
> security turnstiles at the entrance to one of the university libraries.
> The
> students began a series of mass meetings to protest this move. The
> movement
> continued for three weeks until the point when, on 9 February, having
> refused to negotiate, the Rector called in the police (the paramilitary
> celere branch). An armed force of police stormed the library, and the rest
> is history...]
>
> Facebook page:
> https://www.facebook.com/Quelli-del-36-378741579167591/
>
> You can sign the petition by sending your name and affiliation to:
> [log in to unmask]
>
> ________________________
>
> ++++++ APPELLO: MAI PIU' POLIZIA IN UNIVERSITA' +++++++
>
> L'università e tutti i luoghi di circolazione e produzione dei saperi non
> possono essere scenario di repressione militare del dissenso , chiediamo a
> tutti di sottoscrivere questo appello, di unirsi nel condannare quanto
> successo poco dopo le ore 17 del 9 febbraio del 2017, nella biblioteca di
> scienze umanistiche di via Zamboni 36 a Bologna.
>
> Nei giorni seguenti l'opinione pubblica è stata impegnata nel condannare
> la
> reazione di studenti e studentesse e non l'azione para-militare condotta
> dalla celere in una biblioteca su richiesta del Rettore Ubertini dell'Alma
> Mater Studiorum.
>
> CHIEDIAMO
>
> A tutti gli studenti e a tutte le studentesse di ogni ordine e grado
> A tutti i docenti e le docenti di ogni ordine e grado
> Agli scrittori e alle scrittrici, agli attori e alle attrici, ai musicisti
> e
> alle musiciste
> A tutti gli operatori e le operatrici del mondo dell'educazione e della
> cultura
> Agli uomini e alle donne di questo Paese
>
> di prendere parola, di esprimersi, di agitarsi, di indignarsi, di
> aggregarsi
> per non permettere che quanto visto il 9 febbraio a Bologna possa
> ripetersi
> nuovamente, per non permettere che quell'azione repressiva possa essere
> normalizzata e considerata dai Rettori delle Università italiane metodo di
> risoluzione dei conflitti nascenti all'interno dei propri spazi
> universitari.
>
> Al di là dei tornelli e di quello che rappresentano, al di là delle
> singole
> opinioni sulle scelte delle singole amministrazioni universitarie pensiamo
> che su questo non ci possano essere divisioni o tentennamenti, pensiamo
> che
> la ferma condanna di questa inaccettabile azione sia a garanzia di tutti e
> di tutte.
>
> Studenti e studentesse dell'Università di Bologna
>
> _________________
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