italian-studies: Scholarly discussions in any field of Italian studies
Scusate, ma secondo me la questione è posta fuori fuoco.
Non dovremmo tanto chiederci il perché di un'atavica indolenza, forse
negli ultimi anni diventata un vero amorfismo dell'italiano medio. E'
più interessante cercare di capire come mai per una porzione davvero
molto consistente di elettori italiani, e dunque di cittadini
italiani, Berlusconi rappresenti invece un modello positivo, da
ammirare, difendere e invidiare. Sentivo ieri alla radio che in
Russia, il cittadino medio stima molto Berlusconi perché in lui
riconosce le caratteristiche del Cesare, dello Zar, del Capo. Mentre a
Londra, Parigi o Toronto di Berlusconi si pensa in genere il peggio
possibile, nelle società meno evolute dal punto di vista liberale e
democratico, lo si ammira e idealizza.
Ecco, io credo che la questione stia tutta qui. L'Italia non è solo
geograficamente una nazione che fa da cerniera fra l'Europa
occidentale e quella orientale, fra l'Europa e il Medio oriente. Lo è
anche da un punto di vista geo-politico e sociale. Roma, Napoli,
Milano, Verona sono - con buona pace del nostro sentimento d'orgoglio
nazionale, ammesso ce ne sia uno - meno lontane da Teheran o da Mosca
che da Londra o New York. E' un'affermazione che si può sostenere
sotto diversi profili: l'atteggiamento verso l'educazione civica,
verso la religione, verso lo Stato, la propria famiglia, la
globalizzazione, il diverso (ebreo, gay o persona di pelle dal diverso
colore) e il prossimo.
L'italiano medio, quello che a votare spesso ci va, ma che magari
legge un libro l'anno e non compra giornali, in parte non sa nulla dei
comportamenti criminosi o amorali di Berlusconi. Ma quando ne è al
corrente, li giudica usualmente grandiosi, encomiabili, li guarda con
l'occhio dell'invidia e della stima verso "l'uomo che s'è fatto da
sé", come impone la vulgata di casa Mediaset, Chi? e Tv Sorrisi e
Canzoni.
Infine, ma solo infine: il potere di trent'anni di condizionamento da
parte della tv commerciale e del resto dell'impero berlusconiano.
Un'arma di distrazione di massa portentosa, che fino a oggi si è
sempre mostrata in grado di spostare, a ogni campagna elettorale, il
voto di un 6-8% del corpo elettorale dall'area del centro o della
sinistra o dell'astensione a quella del voto per il partito di
Berlusconi. A prescindere da ciò che i suoi governi abbiano fatto o
misfatto.
Su quest'ultimo punto posso dirvi che pure il mio caro amico e
relatore Pietro Scoppola, prima di morire, aveva cambiato opinione.
Nei suoi corsi di storia contemporanea, lungo gli anni Novanta, negava
con fermezza che le tv di Berlusconi giocassero un ruolo, e portava in
esempio le vittorie dell'Ulivo avvenute in quegli anni. Poi però, a
forza di osservare l'andamento delle elezioni politiche che si sono
tenute dal 1993 agli anni Zero, ammise che una componente non piccola
la giocavano eccome, soprattutto quando la legge sulla par condicio è
stata interpretata dai nuovi direttori berlusconiani della Rai al pari
di un bavaglio verso le trasmissioni di approfondimento politico.
Come dice Beppe Severgnini, che sul tema ha scritto un libro acuto,
prima o poi Berlusconi verrà lasciato solo dai suoi sodali e a quel
punto occorrerà difenderlo da chi esigerà di impiccarlo per i piedi,
"per farlo vedere a tutta la piazza". Chissà, può darsi, in effetti è
spesso finita così, ma non per tutti coloro che hanno saputo
trasformare il proprio cognome in un -ismo.
Cordialmente,
Sciltian Gastaldi
On 21/gen/11, at 10:58, Enrico Santangelo wrote:
> italian-studies: Scholarly discussions in any field of Italian studies
>
> Risponderei a "La bella scola" (nome collettivo? Chi è lo/la
> scrivente?), dando questo mio parere.
> Sono italiano, mi sono formato a Torino e a Londra e ora vivo
> permanentemente nel 'bel paese' (?) dal 2005. Ho assistito agli
> splendori e ora al (-l'auspicabile) declino di Mr. B. in Italia
> (all'estero fama e credibilità le ha già perse da un pezzo).
> Recentemente anch'io riflettevo sulla mancanza di una qualsivoglia
> italica reattività... La risposta - parziale - che credo di poter
> dare è non tanto di ordine filosofico-religioso, quanto storico-
> politico-sociale.
> Come osserva Jossa ne 'L'Italia letteraria' (Il Mulino, 2006), ciò
> che accomuna gli italiani non è certo un sentimento civico, civile o
> patriottico, quanto un comune sentire artistico-letterario (ma anche
> altri fattori, come sottolineato da Prezzolini citato in Jossa).
> Ora, stando così le cose, come si può pretendere una reazione
> unitaria, un'indignazione collettiva e generalizzata di fronte al
> degrado della politica nazionale (e locale)? Agli italiani, divisi,
> litigiosi, iper-individualisti e per cultura diffidenti verso il
> vicino italiano o straniero percepito come un alieno, interessa poco
> o nulla quello che succede nei palazzi e nelle ville del potere. Al
> più interessano i risvolti piccanti e osceni, i particolari
> pruriginosi incorniciati da un bel paio di coscette (per non dire di
> più...). E spesso questo interesse porta a un tacito o palese
> assenso ed a una certa indulgenza morale (italica fallocrazia?) che
> perniciosamente si trasforma poi in consenso elettorale!!!
> Dunque concludo, con Gaber, che 'abbiamo fatto l'Europa, ora
> facciamo l'Italia!'. Ascoltate 'Io non mi sento italiano (ma per
> fortuna lo sono)' di Giorgio Gaber.
> Grazie e auguri a tutti/e,
> Enrico Santangelo
>
> Inviato da iPhone
>
> Il giorno 21/gen/2011, alle ore 14:45, La bella scola <[log in to unmask]
> > ha scritto:
>
>> italian-studies: Scholarly discussions in any field of Italian
>> studies
>>
>> Quali sono, secondo voi, le origini storiche e culturali della
>> passività di cui gli italiani stanno dando prova in questi ultimi
>> anni? Mi pare una domanda adeguata chi studia la storia della
>> cultura del mio paese da un punto di vista esterno, appartenente ad
>> altre culture.
>>
>> Tutti i giorni abbiamo sotto gli occhi un campionario completo di
>> tutti i comportamenti socialmente inaccettabili, e manca
>> completamente una reazione collettiva.
>>
>> Ho una mia spiegazione, che parte dal lavoro di René Girard sulla
>> tradizione ebraico cristiana. Come è noto, Girard individua in essa
>> una "teoria generale del religioso".
>>
>> La mia spiegazione è che il pervertimento di tale teoria generale,
>> avvenuto in reazione all' introduzione della stampa a caratteri
>> mobili, è alla radice di un uso di quest'ultima con effetti
>> particolarmente devastanti che ha creato in poco più di tre
>> generazioni, attraverso una gigantesca produzione di manualistica
>> specifica, una mentalità che toglie al messaggio evangelico la
>> carica rinnovatrice che è all'origine della fioritura
>> rinascimentale, fino a Michelangelo.
>>
>> Ho qui uno di questi manualetti, commentato. Il titolo è "Il popolo
>> fanciullo. Silvio Antoniano e il sistema disciplinare della
>> controriforma", di Vittorio Frajese. Il contenuto è terrificante.
>> Viene prescritta la violenza gratuita del padre sui neonati, che
>> doveva fondare una nozione di autorità indiscutibile e
>> terrorizzante. Da queste prescrizioni sembra avere origine il ramo
>> tedesco della "schwartze Paedagogie".
>>
>> Questo mi pare confermare le teorie di Girard e indirizzare la
>> riflessione verso un loro uso in storiografia.
>>
>> Spero di aver precisato quello che intendevo. Grazie a quelli che
>> vorranno intervenire.
>> --
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