italian-studies: Scholarly discussions in any field of Italian studies
Gentili colleghi,
tempo fa, in una mailing list,
il congiuntivo e' intervenuto
personalmente.
Vi inoltro la sua simpatica lettera.
Cordiali saluti
Rita
Buongiorno! Io sono il congiuntivo.
Avete tanto parlato di me che mi fischiavano i tempi composti.
Capisco: non c'e' argomento che attizzi l'italico amor patrio quanto
il
mio uso e il mio disuso: ho visto di tutto in questi giorni, dal bieco
campanilismo
(che ne sanno i non-toscani?), al luogo comune più becero
(difendiamolo
sto povero congiuntivo!), dal professorame rosso-blu (<credo che
sia> è
giusto <credo che è> invece è sbagliato: e chi non è d'accordo
è un bastardo)
al purismo piu' vergineo (chi parla bene usa congiuntivi a chili e a
quintali!).
Per non parlare della vergogna di chi mi sbaglia (vorrei che venga!)
e
poi dell'orgasmo multiplo di chi mi corregge, autogodendosi.
Vi ringrazio tutti per tanto interesse, ma vi confesso che sono un
po' deluso:
tutti a parlare di me e nessuno che cerchi di dire chi sono. Mi
trattate
come un oggetto! Invece io ho un'anima, sono vivo, vivissimo, e
soffro
nel vedere che di me in fondo non gliene importa niente a nessuno.
Nessuno,
ma proprio nessuno si chiede mai chi sono, perché esisto, da dove
vengo
e dove sto andando.
Non posso proprio accettarlo ed e' per questo che ho deciso di
intervenire
in prima persona e di parlare un po' di me.
Tanti anni fa ero giovane, molto indipendente, pieno di energia (e
decisamente
a modo): quante cose riuscivo a fare, tutto da solo! Si parlava
latino
a quei tempi e io davo ordini, esprimevo desideri, manifestavo
opinioni,
elargivo concessioni, mi sbizzarrivo, come tutti i giovani, in
fantasie
e sogni piu' o meno realizzabili. Bei tempi!
Oggi sono sono un po' invecchiato (e mi sorprende parecchio che
parliate
di me ancora come come del giovanotto di un tempo: ma non parlate
italiano
voi? E come vi viene in mente di dire che io esprimo - che so -
un'opinione?
Ma quando mai? Una volta forse, quand'ero nel pieno della mia
virilita'...)
Il fatto è che alla mia eta', da solo, non me la cavo piu? tanto bene
e
- diciamocelo - tiro un po' al risparmio di energie.
Oh, un momento: su molti piani sono ancora piuttosto indipendente
(fossi
matto! Che vi prenda un colpo!). Ma con la pigrizia dell'eta' per
esprimere
un'opinione mi sono andato a cercare un verbo di opinione, per
esprimere
una volontà mi son cercato un verbo di volontà... insomma lo
ammetto, ci
sono tante situazioni in cui se non c'è qualcuno che mi regge finisce
che
casco!
E' per questo che mentre prima facevo un sacco di cose oggi, da
vecchio
saggio che sono, preferisco starmene buono buono a fare il marcatore
di
subordinazione.
Intendiamoci: subordinato si', ma fiero del mio ruolo e pieno di
dignità.
Mi spiego: se mi regge il verbo <pensare> non è che io mi
presti subito
a marcare una subordinazione. Eh no, figlioli: mi concedo con
parsimonia,
io, e solo se servo. C'è gente che dice <penso che oggi è
sabato>. Ma va
benone! Quelli intendono dire solo <oggi è sabato> e attenuano
un po' la
loro decisione con quel verbo <pensare> che in realtà non
significa che
stanno pensando qualcosa: significa un banalissimo <fino a prova
contraria>.
E io non mi spreco per questi casi qui. Io mi concedo se uno dice
<penso
che sia giusto fare questo> e mi concedo solo se quello li' sta
davvero
pensando. Insomma, io marco una subordinata solo se vale la pena
di relazionarmi
al verbo reggente! Non ho mica tempi da perdere io!
Certo qualche volta mi tocca lavorare anche quando magari non vorrei.
Ci
sono per esempio quelli che introducono la secondaria senza il
<che>: eh,
in quei casi non ci sono santi, devo intervenire per forza io a
marcare
la subordinata: <penso sia sabato> (e qui nessuno usa
l'indicativo perche'
non si capirebbe piu' niente).
Allo stesso modo fanno quelli che cominciano la frase con la
secondaria:
<che sia opportuno lo affermo con tutte le mie forze!> Anche
qui mi usano
in parecchi perché altrimenti c'è il rischio di non capire bene che
quella
frase li' è subordinata (mentre quando la costruzione della frase mi
aiuta
non sto certo a intervenire io:<affermo con tutte le mie forze che
e?
opportuno>)
Ma non guardatemi sempre con quella faccia sempre pronta al de
profundis!
Di cartucce da sparare ne ho ancora parecchie. Alla faccia di chi mi
da'
per spacciato io sono in perfetta forma, tant'è che non è vero che mi
usano
solo quelli che parlano bene, ma un po' tutti. E perfino in dialetto.
<Tanto pe' canta' - diceva Petrolini - perche' ner petto me ce
naschi un
fiore!>. E cos'e' quel <naschi>? Ma sono io, certo! Dopo un
perche' finale
se ci metti quel debosciato dell'indicativo cambi tutto il senso
della frase
no? Pensaci bene: se preghi perche' Silvio sta male significa che ti
preoccupi
per lui. Ma se preghi perche' Silvio stia male...
E mica solo con il perche' funziono così: se penso <Silvio magari
un giorno
si ammala> metto in conto una eventualità, ma se penso <Silvio
magari un
giorno si ammalasse>...
Insomma, ho la mia eta', sono diverso da un tempo, ma (sia
ringraziato il
cielo) ho ancora un bel ruolo da giocare, ora e in futuro (lo
volesse la
Madonna!); ma vi prego, non difendetemi più (foste un tantinello
sadici?).
Sto bene come sto (sia chiaro!). E mi difendo da me (fosse l'ultima
cosa
che faccio!)
Il Congiuntivo
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Rita Pasqui
Lecturer, Italian
NEW YORK UNIVERSITY
Department of Italian Studies
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