italian-studies: Scholarly discussions in any field of Italian studies
La Rivista dei Libri
Indici di Dicembre
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Pietro Corsi, La paura del confronto
Testo completo in coda
Jean Starobinski, Rousseau e la Rivoluzione
Piero Cudini, Due/tre postille su Pinocchio/Benigni
Pinocchio, film diretto da Roberto Benigni
Janet Malcolm, Nudi senza desiderio
Earthly Bodies: Irving Penn’s Nudes, 1949-50, mostra
in varie tappe; catalogo a cura di Maria Morris
Hambourg, New York, Metropolitan Museum of
Art/Bulfinch/Little, Brown, 2002
Dancer: Photographs of Alexandra Beller by Irving
Penn, mostra in varie tappe; catalogo a cura di Annie
Wilkes Tucker, New York, Nazraeli, 2002
David Lodge, Buon compleanno, TLS!
Derwent May, Critical Times. The History of “The Times
Literary Supplement”, Londra, HarperCollins, 2002
Maurizio Bettini, All the Books You Need
Eva Cantarella, Itaca. Eroi, donne e potere tra
vendetta e diritto, Milano, Feltrinelli, 2002
In libreria, Dicembre
Matthew Meselson, Bioterrorismo: che si può fare?
Judith Miller, Steven Engelberg e William Broad,
Germi. Le armi batteriologiche: una guerra segreta,
Milano, Longanesi, 2002
Luigi Cocevari-Cussar, Celesti imposizioni
Magdalene, film diretto da Peter Mullan
Davide Conrieri, Gadda e il barocco?
Robert Dombroski, Gadda e il barocco, Torino, Bollati
Boringhieri, 2002
Benjamin DeMott, Padre fratello
Dave Eggers, L’opera struggente di un formidabile
genio, Milano, Mondadori, 2001
Roberto Carnero Silvio D’Arzo
Patricia Corbett Arte, musica e teatro
Pietro Corsi La paura del confronto
Ospitiamo in coda alla Rivista, in quella sezione che
solitamente accoglie lettere e interventi di lettori,
un appello a favore di Carla Benedetti, che come ormai
tutti sanno è stata raggiunta da una querela, e con
lei l’editore Boringhieri, per opinioni affidate al
suo libro Il tradimento dei critici
Pare si tratti di una moda in forte crescita, quella
delle cause intentate da singoli individui contro
colleghi attivi in vari settori della produzione
culturale, contro direttori di riviste letterarie o di
recensioni, responsabili di case editrici o di testate
giornalistiche. Anche la Rivista dei Libri è stata
spesso minacciata di cause legali, e in un caso – di
cui non si parlerà, come non si farà cenno, qui, ad
alcun episodio in particolare – alla denuncia si è
arrivati, con invio di peraltro gentilissimi agenti in
redazione, imbarazzati essi stessi per l’enormità. E
poi le discussioni tra avvocati su quale sia la sede
del reato – la casa dell’autore, la sede della
rivista, dove viene stampata? – per stabilire il
giudice naturale. Tutti consigliano prudenza, calma,
non parlatene per carità. E non ne parleremo.
Qualcosa occorre tuttavia dire, per il momento solo
qualcosa. Non credo possa sfuggire a nessuno l’effetto
di chiara intimidazione che simili azioni hanno su
piccole testate, case editrici sempre in bilico,
singoli studiosi che spesso se non sempre vivono del
loro non lauto stipendio. Studiosi convinti di
esercitare un mestiere di libertà, che hanno firmato
appelli per la libertà di espressione in Unione
Sovietica e ovunque nel mondo ve ne fosse bisogno, e
che non sanno più che pensare vedendosi arrivare
citazioni milionarie in euro, miliardarie nelle
vecchie lire.
La questione presenta aspetti delicati e complessi. È
fuor di dubbio che ogni cittadino ha il diritto di
ricorrere alla giustizia ogniqualvolta ritenga di
dover difendere i propri diritti, o la propria
reputazione. È altrettanto chiaro che se così si
facesse non appena qualcuno critica un libro, una
traduzione, una gestione di cosa pubblica che
appartenga alla repubblica delle lettere, non ci
sarebbe più dibattito ma solo veline.
Appare inoltre difficile sostenere che il giudice
naturale di una controversia intellettuale sia
qualcuno che porti una toga. Ne ho parlato con amici
avvocati, per i quali, a rigor di codice e di prassi,
sostenere che qualcuno è un asino può legittimamente
dar adito a una causa; l’interessato potrebbe produrre
altri dieci asini che dichiarano di esser tutti
cavalli di razza, proprio come il querelante, e vedere
nell’affermazione dell’incauto recensore una lesione
grave alla propria reputazione, dunque al proprio
livello di vita o di “biada” che quella reputazione
consente di procacciarsi. Se si resta al di fuori
della tradizione culturale di un paese civile e
libero, si può sostenere che ogni affermazione critica
liberamente espressa, magari col vigore della
polemica, il sarcasmo se non l’invettiva di cui sono
pieni gli annali letterari – si rileggano, tanto per
fare un nome, le polemiche di un Carducci – è
passabile di denuncia e il suo autore dovrà comparire
in tribunale. Pagherà le spese per l’avvocato,
attenderà due, tre o quattro anni a chiedersi come
andrà a finire, e forse deciderà che la prossima volta
sarà bene recensire solo i libri degli amici,
utilizzando a piene mani un bel dizionario dei
superlativi. Una prassi per altro già largamente
invalsa.
Il letterato, filosofo, storico – l’autore medio,
insomma – si è troppo abituato all’efficace azione di
uffici stampa che producono sempre (per le star,
ovviamente) recensioni favorevoli. La stroncatura si
riserva ai peones di clan avversi, agli intrusi, ai
giovani senza padrino o padrone. Una critica
argomentata, sferzante, non la si tollera più. E si
ricorre al giudice, non agli argomenti. Così facendo,
a mio modesto avviso, si entra sì nelle aule dei
tribunali e nella cronaca giudiziaria, ma si esce
dalla letteratura, dalla tradizione pluricentenaria di
quella repubblica delle lettere alla quale dobbiamo,
in parte almeno, le nostre libertà, se non addirittura
il concetto stesso di libertà di espressione, di
critica, di dibattito.
Credo che molto si debba fare per tutelare il
criticato, molto più di quanto non si faccia. Occorre
che ogni autore debba poter rispondere al proprio
critico, e che ogni notizia o valutazione che si
ritiene inesatta possa venire smentita sullo stesso
organo di stampa che l’ha pubblicata. E senza “a
termini di legge”, come spesso si legge con una certa
pena in calce alla notiziola, dopo essersi rivolti a
un avvocato affinché spedisca la solita letterina di
ingiunzione. Dovrebbe essere dovere – se non missione
– di una testata culturale farsi nel senso più vero
della parola garante della libertà di espressione.
Le storie di citazioni in giudizio riflettono un
malessere profondo, una paura del confronto e della
sempre possibile riprovazione. La corsa alla
recensione amica, alla velina elegante – il discepolo
che incensa il maestro, l’amico che elogia l’amico,
l’amante l’amato, e così via … – ha molto a che fare
con il rifiuto del dibattito, il sospetto per le
argomentazioni, il disperato appello a un giudice che
dichiari giuridicamente fondata la propria
reputazione.
Quando ricevo ogni due settimane la mia copia della
New York Review of Books, corro subito alla sezione
finale, quella delle lettere, dove divampano spesso
polemiche tra recensori e recensiti, e altrettanto
spesso si leggono garbate messe a punto, precisazioni,
espressioni di dissenso. Nella storia ormai più che
decennale della Rivista dei Libri, poche volte gli
autori oggetto di recensioni non propriamente
favorevoli hanno accettato di ribattere, di
contrapporre argomento ad argomento. Alcuni hanno
fatto firmare appelli in cui eminenti colleghi
dichiaravano che il pensatore di turno era vero e
genuino, altri hanno fatto scrivere lettere da
avvocati, uno ha cercato di far chiudere la rivista,
un altro ancora ci ha mandato la polizia …
La repubblica delle lettere ha le sue regole. Le ha
sempre avute, anche in epoche in cui infastidire i
potenti esercitando il diritto di critica poteva
costare molto caro, e in molti paesi costa ancor oggi
molto caro. Quelle regole valgono anche, e
soprattutto, quando si pensa di poterne fare a meno.
Si tratta in definitiva di scegliere da che parte
stare, e da chi farsi giudicare.
Appello in favore di Carla Benedetti
Apprendiamo che Carla Benedetti, autrice del
Tradimento dei critici, e l'Editore che ha pubblicato
il libro (Bollati Boringhieri) sono stati denunciati
dal prof. Walter Pedullà per "diffamazione a mezzo
stampa", con una richiesta di riparazione di un
milione di euro (quasi due miliardi di vecchie lire).
Il tutto in riferimento al capitolo finale del libro
("Il potere che ognuno conosce e nessuno racconta"),
in cui l'Autrice ripercorre gli avvenimenti che hanno
portato alle dimissioni di Mario Martone dalla
direzione del Teatro di Roma, ricostruiti attraverso
articoli apparsi da tempo su giornali e riviste e
altri documenti di dominio pubblico.
Un fatto allarmante, ci pare. Un'enormità. Una
pesante intimidazione a una studiosa e a un editore di
cultura e progetto, che pare purtroppo confermare le
argomentazioni del libro sulla situazione della
cultura italiana di questi anni. A una ricostruzione e
a una riflessione articolata su un significativo
evento politico-culturale, un noto intellettuale
decide di rispondere, piuttosto che sullo stesso
terreno e con sue controargomentazioni, con un gesto
di sopraffazione e arroganza, trascinando in tribunale
l'autrice e l'editore di un libro scomodo.
Mentre esprimiamo la nostra solidarietà a Carla
Benedetti e al suo editore, impegnati in una battaglia
dalle implicazioni più vaste e che riguarda la difesa
delle più elementari libertà di espressione e ricerca,
ci sembra doveroso prendere posizione su questo
avvenimento, che a noi pare sintomatico e grave.
Ci riserviamo di intervenire di nuovo e più
ampiamente sulle questioni di interesse culturale più
generale che una vicenda come questa può sollevare.
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