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Sent: Tuesday, December 05, 2000 3:06 PM
Subject: Re: Padreto, Mammata, Vitama, etc
> Vorrei aggiungere poche e ULTIME righe. Io non conosco l'arabo ne' sono
> un linguista di professione, anche se a suo tempo ho studiato, con
> passione, filologia romanza sotto la guida di Aurelio Roncaglia alla
> Sapienza di Roma. Ora a me sembra che queste forme di cui stiamo
> parlando, usate prevalentemente (ma non esclusivamente) nell'Italia
> meridionale, sia pure forse mediate dal provenzale, che indubbiamente
> esercita una massiccia influenza, p.e., nella scuola siciliana, siano
> infine tutte da ricondurre al latino, lingua-madre di qualsiasi
> ur-espressivita' poetica proto-italiana (provenzale compreso),
> corrispondente, tuttavia, a una evidente polarita' classistica: latino
> alto e latino "volgare", configurandosi, quest'ultimo, "come meno uno
stato
> di lingua che il senso di un'evoluzione" (Roncaglia; cito da
> Pasquini-Quaglio, "Le origini", Laterza, 1975, ii ediz.). Quando noi
> leggiamo nel "Contrasto" di Cielo d'Alcamo forme parlate come "patreto" e
> "pa(t)remo" (e nel napoletano forme affini come "mammeta", "frateto",
> "soreta", ecc.), posso sbagliarmi ma il mio buon senso mi suggerisce che
> qui e' avvenuto una plausibile mescidazione del latino volgare in
> proto-italiano volgare : pater (gen. patris) > patre meu(s) > patre meu >
> patremu > patremo;
> soror tua (dimin. "sorella", come lo e' "fratello" per "frate" ), > sore
> t(u)a > soreta ( in certe forme strette, detto anche con la "e" quasi
muta,
> "sor(e)ta", ecc. ecc.
> Luigi Fontanella
>
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